Diciotti. Questione di diritto non di feeling
“Arresto illegale“, “Abuso d’ufficio“, “Sequestro di persona“. Con queste ipotesi di reato la Procura della Repubblica di Agrigento aveva aperto il fascicolo sulla nave Diciotti che, da sabato 25 agosto 2018 – poche ore prima dello sbarco totale dei migranti dalla nave, in collaborazione con Irlanda, CEI ed Albania – da “contro ignoti” è passato “a carico di noti”. E uno dei due – secondo le ricostruzioni oramai verificate e conclamate proposte dai principali quotidiani nazionali – è particolarmente noto: il Ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Il passaggio “a carico di noti” è la conseguenza delle indagini condotte a Roma dallo stesso Procuratore di Agrigento Patronaggio che, come ha ricostruito il Corriere della Sera, ha sentito nella Capitale, come persone informate sui fatti, i prefetti Gerarda Pantalone e Bruno Corda, rispettivamente capo e vice del Dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno.
Procedimento lungo – Ovviamente, è solo il primo passo di un lungo iter che prevede numerosi passaggi tra “Tribunale dei Ministri” e Camera del Parlamento nella quale siede il Ministro (per Salvini, il Senato), con tempi che si configurano come molto lunghi (per conoscere per filo e per segno il procedimento, ecco qui un bell’articolo molto dettagliato di TpiNews).
I capi di imputazione – La stesura del fascicolo di Agrigento ha però permesso di fare un primo ordine tra i tanti, tantissimi dubbi non solo morali ma soprattutto in punta di diritto che questo stallo epocale infonde nei cittadini. In effetti, è una situazione che il nostro Paese non aveva mai vissuto, giocata sui sentimenti più profondi dei cittadini e capace di mettere in fibrillazione l’impalcatura morale delle nostre istituzioni. Per questo il fascicolo di Agrigento è un punto di partenza fermo: perché istruire delle ipotesi di reato significa mettere dei punti legali. Che, nella fattispecie di “Arresto illegale”, “Abuso d’ufficio” e “sequestro di persona”, sono interconnessi gli uni con gli altri. Vediamo come.
Arresto illegale, abuso d’ufficio, sequestro di persona – Il dispositivo dell’art. 606 del Codice Penale, che parla di Arresto illegale, recita: “Il pubblico ufficiale (ovvero “colui che esercita una funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria con o senza rapporto di impiego con lo Stato, temporaneamente o permanentemente”, come da art. 357 sempre del codice penale) che procede ad un arresto, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, è punito con la reclusione fino a tre anni” (tratto da www.brocardi.it).
Ovvero: la libertà personale allo spostamento, essendo un diritto inviolabile sancito dall’art. 13 della Costituzione, può essere preclusa o ristretta solo dallo Stato per mano dei propri poteri giurisdizionali. Tale reato è, come detto, collegato intimamente all’abuso di ufficio, ovvero quel comportamento di un “pubblico ufficiale” che “nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento […], intenzionalmente […] arreca ad altri un danno ingiusto”. Anche se, come rileva il sito prima citato www.brocardi.it, di solito l’arresto illegale richiede per la sua configurazione anche l’abuso di potere, che in questo fascicolo non è stato però contestato.
La contestazione del reato di “sequestro di persona” è invece una conseguenza dell’arresto illegale quando questo non è atto direttamente a mettere il soggetto privato della sua libertà a disposizione dell’autorità competente. E quale potrebbe essere l’autorità competente interessata – ad oggi – a quelle persone detenute per giorni sul ponte di una nave della Guardia Costiera di cui non sappiamo ancora addirittura le generalità? E non le sappiamo perché tutta questa storia ha un cavillo all’origine, l’idea che ha avuto il ministero dell’Interno per creare lo stallo.
Catania non era il “porto sicuro” della Diciotti – Per capire bene dobbiamo infatti andare alle fondamenta. Il comportamento che, come detto da Patronaggio ai due prefetti del Dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno, “potrebbe configurare l’esistenza di reati” è stato il cavillo trovato per bloccare per giorni lo sbarco. Catania, infatti, non era il porto sicuro della Diciotti, e quello nel capoluogo etneo era solo uno “scalo tecnico”. Formalmente, cioè, la Diciotti non era ancora arrivata a destinazione, perché il suo porto sicuro non era stato identificato. Questo “giochino” burocratico è l’idea con la quale si è voluto creare a tavolino il blocco nel quale si è infilato il Viminale con tutto il Governo per poter trattare con Bruxelles per una soluzione. Una trattativa che non è andata – e mai metafora pare, ancorché abusata, più esplicita – in porto. Sicuro.
C’è dell’altro – Lo abbiamo detto, il fascicolo di Agrigento serve per riassumere e sottendere ipotesi giuridicamente fondate di reati eventualmente commessi nella gestione di questa vicenda. Ma non bastano. Come ha ricordato il presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi, in un comunicato di qualche giorno fa sul sito di Amnesty, “Il diritto internazionale e la Costituzione italiana – opportunamente richiamati dal Garante per i diritti delle persone detenute o private della libertà – avrebbero imposto da giorni una soluzione diversa, rispettosa dei diritti fondamentali di persone in particolari condizioni di vulnerabilità e, certamente non poche di esse, con un fondato timore di persecuzione”. E dei diritti fondamentali delle persone dovremmo essere garanti tutti, come cittadini di uno Stato civile e democratico. Vedremo.
Terrò nota di questo articolo
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