Garantire la libertà di stampa e la sicurezza degli giornalisti nelle proteste e manifestazioni di piazza
Negli ultimi anni le ondate di protesta e manifestazioni di piazza di varie matrici sono considerevolmente aumentate nel mondo e vanno di pari passo con la crescita degli attacchi (arresti o assassinii) contro i giornalisti che se ne occupano.
È quanto asserisce il Report dell’Osservatorio dei giornalisti dell’Unesco (appena pubblicato) che ha preso in esame le proteste in 65 Paesi tra il 1° gennaio 2015 e il 30 giugno 2020. Tra questi i Paesi europei, ribadendo l’abuso alla libertà dei mezzi di informazione nella prima metà del 2020 come già evidenziato nell’aprile scorso dalla Piattaforma del Consiglio d’Europa per la protezione del giornalismo, che riporta numerosi casi di violenza avvenuti in Francia, Regno Unito, Spagna, Turchia, Albania, Azerbaigian e Russia.
In questi 5 anni i giornalisti che seguivano le manifestazioni e le loro evoluzioni, secondo il Report “a centinaia sono stati attaccati, picchiati, intimiditi, arrestati e rapiti. Alcuni sono stati tenuti in isolamento, altri fucilati. Le attrezzature professionali sempre deliberatamente distrutte”.
La maggior parte delle aggressioni è stata compiuta “dalle polizie e dalle forze di sicurezza locali”. Pochi i casi in cui i Paesi hanno applicato misure correttive nei confronti degli agenti colpevoli. “L’impunità è rimasta la norma” afferma Audrey Azoulay, direttore generale dell’UNESCO.
Chi ci ha rimesso la vita
Dei 125 casi di giornalisti-vittime riscontrati e documentati dall’Unesco, 15 sono stati colpiti nel 2015, 16 nel 2016, 21 nel 2017, 20 nel 2018, 32 nel 2019 e 21 solo nella prima metà del 2020: cifre che mostrano la progressiva e costante tendenza al rialzo.
Dieci i giornalisti che hanno perso la vita. Tra questi Elidio Ramos Zárate, giornalista del quotidiano El Sur ucciso a colpi d’arma da fuoco nel 2016 mentre seguiva le proteste nella città di Juchitan de Zaragoza, nello stato messicano di Oaxaca. O Yaser Murtaja, che ha perso la vita durante le proteste palestinesi al confine con Israele nel 2018. E Ángel Eduardo Gahona, morto in diretta televisiva mentre trasmetteva il suo programma per un canale locale, a est del Nicaragua. Ancora – anche se non rientra nel periodo esaminato – si ricorda l’operatore di ripresa Ferzat Jarban, il primo giornalista ucciso durante la guerra civile siriana: arrestato mentre riprendeva una protesta antigovernativa e stato trovato morto il giorno seguente; era il 2011. La scrittrice e giornalista irlandese Lyra McKee, uccisa nell’aprile 2019 durante gli scontri tra indipendentisti e polizia a Londonderry (Irlanda del Nord); nello stesso anno perdevano la vita il giornalista Precious Owolabi, ventenne, mentre copriva per un canale televisivo uno scontro tra manifestanti musulmani sciiti e polizia nigeriana e il fotografo Ahmed Muhana al-Lami che seguiva le proteste a Baghadad. Nel gennaio 2020 sono stati uccisi il giornalista Ahmed Abdul Samad e il cameraman Safaa Ghali, vittime in un attento ordito a loro danno nel gennaio 2020, a Bassora (Iraq) e il giornalista Alex Ogbu, giornalista e editore del canale indipendente locale Regent Africa Times, colpito alla testa da un proiettile, durante una protesta ad Abuja, capitale della Nigeria.
Per le donne giornaliste. Una minaccia e una violenza in più
Particolarmente pericolosa la situazione per le donne giornaliste, esposte anche alle minacce di violenza sessuale e stupro. Secondo un sondaggio condotto dalle International Foundation for Women’s Media e l’International Institute for News Safety, il 26% delle giornaliste ha riferito di aver subito violenza fisica mentre copriva proteste, manifestazioni e altri eventi pubblici. Il Report Unesco cita il caso francese della giornalista durante una protesta dei Gilet Gialli ha ricevuto minacce di violenza sessuale. O il caso di due giornaliste e un collega di sesso maschile arrestati dalle forze di sicurezza per aver violato un ordine di coprifuoco, nonostante avessero esibito le proprie credenziali. Condotti al commissariato le donne sarebbero state costrette a spogliarsi e sono state umiliate dagli agenti che oggi devono affrontare la denuncia per violenza sessuale.
Anche il razzismo, infine, diventa un abuso verso il lavoro giornalistico. Durante le proteste per la morte di George Floyd negli Stati Uniti, un giornalista afro-latino veniva arrestato dalla polizia mentre ai suoi colleghi bianchi veniva permesso di continuare a scrivere, (fonte: eldiario.es).
Che fare?
Il Report Unesco condivide quando dichiarato dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani: “Per evitare di ricorrere all’uso della forza letale per far rispettare la legge, gli Stati devono fornire le forze dell’ordine di mezzi efficaci e meno letali”, aggiungendo raccomandazioni proprie.
Alle polizie deve essere fornita “un’adeguata formazione” che permetta loro di discutere e, aggiungiamo noi, di apprendere e rispettare il ruolo dei giornalisti nel coprire le proteste. Anche i giornalisti, compresi i liberi professionisti devono ricevere formazione e attrezzature adeguate. Inoltre per ritenere la polizia responsabile dell’uso della forza contro i giornalisti durante le manifestazioni è necessario nominare dei difensori civici nazionali.
E per concludere il Report non lesina un monito verso la “retorica ostile” di alcuni leader politici verso i professionisti dell’informazione, ricordando loro che corre una gran differenza tra “l’esprime sostegno alle libertà di stampa e di espressioni e mettere in pratica gli stessi principi”.