Morte dignitosa. Diritti e diritti
È un diritto oggi possibile avere una morte dignitosa? Dilemma che surriscalda gli animi in questo infuocato giugno, durante il quale gli italiani sembrano totalmente presi da questioni legislative. Oltre le polemiche sulla legge elettorale, fa discutere la richiesta di interruzione del regime 41 bis per il boss mafioso Totò Riina per motivi di salute.
Si è così palesata possibilità di un cambio del regime detentivo alla luce della sentenza della Corte di Cassazione che, per la prima volta, ha accolto il ricorso del difensore del boss richiedente il differimento della pena ed in subordine la detenzione domiciliare.
In sostanza i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Bologna sono stati richiamati ad un riesame del diniego espresso lo scorso anno, in quanto lo stato patologico di Riina non entra in conflitto con il carcere dove vengono assicurate cure ed assistenza; devono valutare se la reclusione comporti un aggravamento della malattia, nonostante la legittima esecuzione della pena. Lo Stato rischia di farsi portavoce di un diritto – non diritto. L’eventuale uscita del Capo di Cosa Nostra potrebbe rafforzare il potere occulto, indebolendo lo Stato ed ogni sua azione di riscatto.
Si fa evidente che l’opportunità di un trapasso adeguato non viene offerta a tutti in egual maniera. Falde di democrazia, minacciate da un incauto sgretolamento.
Morire è, e resta, un mistero che astrae da concepimenti etici di qualsiasi natura essi siano. Forse nessun testo di legge può farsi garante del vincolo profondo, la morte, che ci rende democraticamente corpo unitario. Un’occasione per discutere del senso autentico di morte dignitosa.
Mi chiedo a quanti anziani viene davvero garantita la possibilità di spegnersi dignitosamente nella solitudine dei cronicari di lusso? Basta forse avere una pensione “degna” per accedervi oppure, previa richiesta medica, così che l’assistenza nei nosocomi dell’emarginazione sia garantita dallo Stato.
Degenze del popolo! Welfare state? No, un business senza fine, in particolare del privato. Negli ultimi trent’anni sono moltiplicati i luoghi destinati a salvaguardare il benessere degli anziani, Villa Serena, Casa ARMONIA , Villa Belvedere, Casa la Quiete, nomi propri di cose, luoghi incrostati dalla litania di lamenti consci ed inconsci.
Qui il diritto ad una morte dignitosa resta inatteso, l’abbandono si giustifica con l’impossibilità di stare dietro ad un caro, divenuto solo un peso. E, sia ben chiaro, non è sufficiente garantire i pasti ad una persona per averne rispetto. Questa è un’idea malsana di assistenza che ci svincola dall’impegno relazionale, forse più oneroso della retta mensile.
Pazienti ri-coverati, pazienti abbandonati o perfino vittime della negligenza più nera. Chissà quale piano di dignità occuperebbe la morte di quei pazienti che, ricoverati per una certa patologia, contraggono i così detti virus ospedalieri letali, fatali. Una contraddizione latente del sistema sanitario.
Non sono pochi i casi di decessi causati da infezioni nosocomiali prese nei reparti, dove la vita dovrebbe essere una finalità, non una fine. Di certo morire per aggravamenti dovuti a carenze strutturali, organizzative e d’igiene non denota grande rispetto per il malato. Sicuramente un morte indegna. Basti pensare all’ultima cronaca relativa alla presenza di formiche sul corpo di una donna, in un ospedale di Napoli. Qui, l’invasione è finita addirittura sui letti dei degenti, infestando il concetto stesso di assistenza.
E ancora, su quale piano collocare il diritto negato di scegliere di morire nel proprio paese con onestà e fierezza. Perché non è semplice essere consapevoli che non c’è speranza, che niente lenirà il dolore. Allora morire a casa potrebbe avere un senso. L’ultimo. Come fu per Socrate che, condannato a morte, decise di ingerire la cicuta in quanto fuggire dal proprio paese avrebbe significato aderire ad altre leggi, lontano dalla sua patria, dalla sua città, la democratica Atene.
Foto di copertina:Edvard-Munch – Il bambino malato