L’origine del mondo 2.0
Una lotta mondiale sulla libertà di espressione. Una diatriba giuridica internazionale. E un conflitto “Davide contro Golia” in salsa social network dei giorni nostri.
Questo e molto altro sta avvenendo sulla “pelle” di uno dei quadri più famosi della storia dell’arte, ovvero “L’origine del mondo” di Courbet.
Ebbene: questo quadro, emblematico del realismo francese, era nel 2011 sulla copertina di una mostra dedicata al grande pittore Gustave Courbet. Un professore di storia dell’arte parigino (il cui nome è oscurato in qualsiasi cronaca della vicenda) appassionato divulgatore d’arte e di espressioni, ne condivise il link sul proprio profilo su Facebook, invitando amici e discenti a visitare la mostra.
Apriti cielo: per i moderatori del social network, intenti a seguir regole morali integralmente calviniste e eminentemente “statunitensi” difficilmente accettabili di qua dall’Atlantico, l’immagine era “pornografica”, il link era da rimuovere e il profilo del professore “da oscurare”. Tra l’altro, questa pratica non è così infrequente: qualcosa di molto simile è capitato pure a Vittorio Sgarbi, la cui pagina fu oscurata per 1 giorno da Facebook nel giugno del 2015 proprio per una foto, con 1 milione di visualizzazioni, che ritraeva il critico all’Orsay proprio davanti al medesimo quadro – ma da noi la faccenda fece meno scalpore, anche giuridicamente parlando.
Forse perché il professore parigino, a differenza del Vittorio nazionale, non ne ha fatto una questione di “regolamento interno di Facebook” (l’avvocato di Sgarbi, nella sua richiesta di 50mila euro di risarcimento a Facebook si baloccava infatti con la differenza tra “nudo fotografico” e “nudo pittorico”, uno secondo lui non consentito dalle regole private del social network, e l’altro sì): no, il “Davide” cittadino francese ne ha fatto questione in nome della lesione della propria libertà d’espressione, personale e, quindi, trattandosi di Facebook, mondiale.
Facebook, dal canto suo, si è inizialmente trincerato dietro il paravento con il quale è solito dirimere questioni del genere, ovvero la clausola – scritta nel suddetto regolamento – secondo la quale “qualsivoglia controversia deve essere dibattuta di fronte ad un tribunale della California”.
Stavolta non andrà così. E veniamo all’oggi. Perché pochi giorni fa il Tribunale di Parigi, comprendendo la logica essenziale e intrinsecamente mondiale del contendersi, si è detto “competente sulla vicenda“. E, quindi, questo processo s’ha da fare.
Perché il professore-Davide ha messo il dito in una piaga mondiale del nostro tempo (di cui tra l’altro abbiamo già parlato in riferimento all’azione di twitter intento a chiudere migliaia di profili in nome della lotta al terrorismo): è giusto che un Facebook-Golia abbia il potere (privato e affaristico) di “oscurare” la libertà di espressione dei suoi millemila avventori? Ancor di più: mentre i social diventavano la “piazza mondiale” della nostra quotidianità, ci siamo sufficientemente interrogati sul ruolo che stavano ritagliandosi delle megaindustrie che seguono, come proprio dogma, l’interesse aziendale?Quindi dobbiamo o no trovare degli anticorpi democratici a questo stato di cose nel quale colossi totalmente privati possono compiere delle vere e proprie censorie azioni di polizia senza polizia e senza controlli nei confronti di quello che sta diventando il principale spazio di espressione per ognuno di noi?
Forse, il processo parigino aprirà una falla in questo macigno. C’è da augurarselo?