Web, app, privacy, figli e genitori. Una situazione in emergenza educativa
Quali sono i pericoli maggiori cui vanno incontro gli adolescenti, che con beata incoscienza, scaricano le applicazioni sul proprio smartphone, telefono “intelligente”, ma leggermente invasivo, privi di un’adeguata informazione?
Se lo sono chiesti l’Università di Padova e l’European Institute for Science media and democracy che insieme hanno indagato il fenomeno.
Massimo Marchiori, matematico e informatico a capo del team di ricerca padovano spiega all’agenzia Agi le modalità della ricerca e i risultati.
Con l’autorizzazione e la collaborazione di 65 coppie inglesi e americane, i ricercatori con un’app apposita sono entrati nel mondo virtuale dei ragazzi per “vedere cosa veramente fanno gli adolescenti con i cellulari”. 84 ragazzi di età compresa tra i 13 e i 17 anni, convinti dai genitori che si tratta di un’applicazione per chiedere aiuto in caso di necessità, hanno scaricato l’app programmata dei ricercatori. Un’applicazione che conteneva volutamente uno spyware, un software che permette di controllare il loro comportamento. La collaborazione e il consenso dei genitori ha reso legale l’intera operazione.
I risultati sono tutt’altro che rassicuranti: i ragazzi hanno scaricato 3.849 applicazioni – con una media di 42 per cellulare – il 99,1% delle quali si sono rivelate potenzialmente pericolose, perché violano la privacy. Si tratta di applicativi classificati dagli standard di Google (motore di ricerca per antonomasia) che controllano la posizione degli utenti, l’accesso alle webcam e, soprattutto, quello che facciamo sul web tramite browser, dando vita ad un mega archivio di dati personali. A questo va sommato che alcune app scaricate possono attivare la webcam dello smartphone in modo automatico, senza il consenso dell’utente
1.417 invece sono stati i siti web visitati dai ragazzi – campione con una media di 17 siti ciascuno. Il 7,4% di questi siti sono stati giudicati dai ricercatori molto pericolosi per contenuto sessuale esplicito e violento.
La ricerca ha poi analizzato il linguaggio usato dai ragazzi, attraverso i messaggi sui social e i testi scritti nelle chat, all’interno delle app che lo prevedono. Complessivamente sono stati raccolti e analizzati circa 14,8 megabyte di testo. Massimo Marchiori illustrando i risultati li ha considerati “molto inquietanti” perché 1 ogni 15 testi “contiene frasi a sfondo sessuale e violente”.
I genitori rappresentano una parte della ricerca altrettanto interessante e che induce alla riflessione. Nessun genitore sospettava che il figlio potesse esprimersi in tal modo, né era a conoscenza dell’esistenza di app così potenzialmente dannose.
Massimo Marchiori, profondo conoscitore della tecnologia digitale, creatore già nel 1995 dell’algoritmo Hyper Search, la base per i motori di ricerca e negli anni 2000 del motore semantico Volunia evidenzia come il problema sia culturale. Non si proteggono i ragazzi dai pericoli delle app, proibendo loro l’uso dello smartphone ma spiegandogli “come funziona e come si usa, a quali rischi e pericoli vanno incontro sia nella rete sia nelle app”. “Se fossi genitore” continua il professore “cercherai di insegnare ai miei figli a utilizzarlo bene”.
La notevole differenza che corre tra il numero delle app scaricate rispetto ai siti visitati, conferma il dato, sottolineato dagli addetti ai lavori che le app stanno uccidendo il web. L’uso massiccio delle applicazioni restringe l’uso di Internet in sistemi chiusi, come sono le app a discapito dell’ampiezza culturale e informativa che offre il web, fonte continua di conoscenza.
I genitori devono insegnare ai figli cos’è veramente il web. Ma qual è il rapporto tra la tecnologia e i genitori? Usano lo smartphone saggiamente e moderatamente? Se ci guardiamo intorno, affiora qualche dubbio. Forse è arrivato il momento di spostare l’attenzione dagli adolescenti agli adulti.