Per fare un’intelligenza artificiale ci vuole un umanista

Per fare un computer ci vuole un informatico. Per fare un’intelligenza artificiale ci vuole un umanista.

Ne sono convinti i creatori di Ex Machina Italia, una società di innovazione digitale con sede a Bologna, per la precisione in Bolognina.

Fondata nel 2020, in piena pandemia, la start-up è stata fondata non da neolaureati ma da persone già con una lunga esperienza alle spalle in questo campo. Ci sono, quindi, matematici, fisici e ingegneri, ma anche filosofi e linguisti.

Ed è proprio sulle competenze umanistiche che la società punta proprio per addestrare l’intelligenza artificiale.

Come si insegna a un cervellone elettronico

Lo spiega all’Agenzia Dire Sandro Cacciamani, amministratore delegato di Ex Machina Italia.

Prima di tutto vengono inseriti contenuti e documenti già esistenti, che vengono caricati nel sistema e che l’Ia elabora, traducendoli in un database sotto forma di domande e risposte (Faq).

Da questa mole di dati, l’intelligenza artificiale ricava le risposte alle domande che gli vengono poste, facendo una ricerca semantica (e non solo per parole chiave) tra i contenuti a disposizione. Se invece non c’è una corrispondenza tra i dati in possesso e la domanda, attraverso il cosiddetto ‘Large Language Model’ (LLM) il cervellone è comunque in grado di generare al volo una risposta rielaborando i contenuti a disposizione.

Quando entra in gioco l’umanista

Dietro ogni macchina in ogni caso c’è sempre una persona, che con un’attività di back office verifica le risposte che l’IA fornisce ed è in grado di integrarle, correggerle o completarle. Così, di conversazione in conversazione, il sistema impara ‘da solo’ e riesce a generare risposte sempre più corrette. Ed è proprio qui che entra in gioco l’umanista.

All’intelligenza artificiale, infatti, non vengono solo forniti i contenuti, ma le viene insegnato anche come parlare, con quale stile, che tono di voce usare, cosa dire e addirittura cosa è meglio non dire in alcune circostanze.

Insomma, oltre IA comandi (prompt) generali per ‘impersonificare’ l’intelligenza artificiale, la macchina viene addestrata con comandi più specifici anche alle finezze del linguaggio, a destreggiarsi tra ambiguità e doppi sensi, ma anche a imparare l’etica del linguaggio, grazie appunto alle ‘lezioni’ di filosofi e linguisti.

Dagli umanisti la vera competenza digitale

Degli umanisti, insomma, la cui competenza oggi “è la vera competenza digitale– afferma Cacciamani- il linguaggio delle macchine ormai è il nostro linguaggio, non è più una questione di programmazione. Sopra i bit ci sono tantissimi strati di tecnologia e grandi reti neurali artificiali, che vengono addestrate su enormi masse di testi generati dall’umanità”.

Quando viene raggiunta una “massa critica” di informazioni immesse, l’IA è in grado di generare da sola dei contenuti. Quindi “c’è bisogno di persone che si sono allenate, nella loro formazione, all’uso consapevole della lingua e conoscono finezze, sottigliezze e ambiguità del linguaggio– insiste il ceo di Ex Machina- la cultura umanistica è tornata centrale”.

La soluzione proposta si basa sulla tecnologia ‘Twin Creator’ della società ‘Memori.ai’ di Altedo, in provincia di Bologna, di cui Ex Machina è partner e system integrator.(fonte: www.dire.it)

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