Gianfranco Campestrini. Il pittore poeta

La memoria ci permette di contestualizzare gli eventi e, accanto al ricordo personale, al sussulto emotivo, è fonte di rappresentazione sociale e sociologica. Come giornalista e cronista dei miei tempi, mi ri-trovo spesso a collegare memorie private a eventi/personaggi di interesse pubblico.

Ed è proprio da un episodio personale che vorrei ricordare un grande pittore italiano: Gianfranco Campestrini.

Durante una giornata estiva mentre mi trovavo negli “ori”, prati coperti di grano, a Fai della Paganella, insieme alla mia famiglia, all’imbrunire prima che il sole scendesse dietro il “Monte Fausior”, proprio all’interno di uno di questi prati vedemmo, seduto su un “pliant”, un signore dal viso scavato che con un pennello tracciava su di una tavolozza la valle stessa che scendeva dalle montagne del Brenta fino all’hotel Miramonti. Ci salutò e ci disse che sarebbe tornato il giorno dopo, per terminarlo. Quel suo dipinto è tra le cose più preziose che conservo.

Il profumo della pittura

Nell’osservare il quadro di Campestrini si percepisce l’asperità dei monti coperti di nubi che sembrano proteggere la valle nel suo splendido declivio e che si apre come un balcone su colori chiari e dolci. Si può scrivere e pensare a quel che ti dice il quadro e non è fantasia sentire il profumo del grano e dell’erba, vedere la luce del sole e del cielo perché in esso c’è il senso della fatica dell’uomo e immaginare la vita come il solo modo per conoscere quel fascino che la unisce all’opera di Dio.

E anche se Campestrini diceva che il pittore è come un poeta che ha l’occhio strabico, la sua pennellata veloce, esprime il concetto dei paesaggi senza prospettive ingabbiate. Amava il Trentino, terra affascinante con sulle spalle una storia di tradizioni e di leggende che sono intrise di mistero come il suo popolo che è forte e senza paure.

Lui si definiva il pittore della montagna anche se non disdegnava fare ritratti e vedute milanesi o marine,  ma le Dolomiti del Brenta, il Pizzo Gallino, il Campanile Alto e quello Basso, la Paganella, i prati di Santel verso Andalo, il lago di Molveno ed i suoi rifugi, il castello della Val di Non, sono stati per lui un amore senza tradimenti.

Figlio di Alcide, già un gran pittore, e con il fratello Ernesto, dipinse il soffitto del teatro sociale di Trento. Fu membro dell’ordine del Cardo, dell’accademia degli Agiati di Rovereto, dell’Accademia di Pestum, della Haute Latina Internazionale di S. Louise e Cavaliere di S. Agata e della Repubblica di S. Marino.  Fece esposizioni in tutto il mondo e sue sono le opere esposte nella Quadreria dei benefattori dell’ospedale Maggiore di Milano e nelle fondazioni Cariplo.

Per me Campestrini è stato davvero un pittore poeta e tra i tanti trittici su tela da lui dipinti e tra quelli catalogati, forse manca quel quadro che quel giorno mio padre riuscì a comperare, e che a me parla, ogni volta che lo guardo, di un cielo, di alte e lontane pietre, di erba, di luce e di grano, e che forse io non rivedrò mai più.

 

 

 

 

 

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