Palestinesi ed israeliani. Mostra d’autore sulle relazioni umane
Daniel Landau è un artista israeliano multimediale che esplora gli aspetti della realtà virtuale e la sua capacità di mediazione in questioni come l’identità, la disuguaglianza e gli stereotipi sociali nella dimensione del reale.
Nella mostra interattiva dell’Israel Museum di Gerusalemme, I to Eye, dedicata alle relazioni umane e al loro evolversi nell’era tecnologica, ha progettato un soggiorno unico che racchiude 2 ambienti domestici distinti e reali: uno abitato da una famiglia araba l’altro da una ebraica.
I visitatori della mostra indossando occhiali VR e occupando uno dei 2 lati opposti hanno la possibilità di osservare, attraverso la realtà virtuale, le 2 famiglie e i loro stili di vita.
L’installazione di Landau è composta da 2 filmati realizzati dall’artista che vedono al centro 2 salotti reali e la vita di 2 famiglie reali, una palestinese l’altra ebraica che hanno accettato di farsi riprendere dall’artista.
Queste famiglie vivono a poche decine di metri l’una dall’altra, ma prima della collaborazione con l’artista israeliano, non si conoscevano perché sono divisi dalla barriera di separazione eretta in Cisgiordania nel 2002 sul confine tra Israele e la West Bank.
Così vicini e, forse come mai, così lontani i palestinesi e gli israeliani, perché se la convivenza politica tra i 2 popoli è stata sempre di difficile soluzione, non lo era, in passato, nella vita quotidiana che vedeva palestinesi e israeliani frequentarsi normalmente. L’idea dell’artista, infatti, nasce sulla scia dell’esperienza personale. Cresciuto nella zona ebraica di Gerusalemme, il quarantaseienne Landau ha coltivato in gioventù le amicizie palestinesi del vicinato. Oggi per realizzare il suo progetto artistico ha impiegato molto tempo prima di trovare le famiglie disposte ad aderire al progetto.
Per visitare il Museo e vedere il risultato finale dell’opera di Landau la famiglia palestinese ha dovuto ottenere permessi temporanei per attraversare il muro ma è molto soddisfatta per averne fatto parte. Con l’autore e la famiglia ebraica condivide il messaggio della opera d’arte: chiedere a tutti di credere nella pace tra israeliani e palestinesi.
Tra le altre opere presenti ricordiamo Current Destination di Noa Yekutieli che presenta 2 sagome unite come se fossero abbracciate; la prima rappresenta dei rifugiati siriani su una barca alla ricerca di un approdo sicuro. L’altra mostra delle braccia piegata in un lungo abbraccio. Le due rappresentazioni alternano il bianco e il nero, con l’intenzione di esprimere il nostro desiderio di essere abbracciati e al tempo stesso la nostra capacità di abbracciare.
Mette a dura prova l’autenticità di un rapporto ma offre anche la possibilità di approfondirlo, l’installazione di Eiant Amir, dove i visitatori diventano parte integrante: entrando in coppia in cabine insonorizzate sono sottoposti a domande sempre più personali, mentre l’illuminazione si fa più calda. Riferisce Meller-Yamaguchi, curatore della mostra, di un padre che gli ha confidato di non aver mai conversato con tanta attenzione e partecipazione con la propria figlia prima di allora: l’esperienza dell’installazione di Eiant Amir ha aperto ad entrambi una nuova prospettiva di dialogo.
La mostra I to Eye si sviluppa su 2 livelli i quali, spiega Yamaguchi, rappresentano i diversi stadi delle relazioni.
Il piano inferiore più scuro rappresenta gli incontri fra noi e gli estranei: il superiore chiaro e colorato mostra cosa succede quando le persone riescono a compenetrarsi.
Tra gli interrogativi che pone la mostra, il chiedersi se attraverso la connessione tecnologica che ci mette a contatto, potenzialmente, con un numero infinito di persone, riusciamo a sentirci meno soli.
La mostra esplora, attraverso l’esposizione delle opere d’arte, il mutevole panorama sociale dell’era virtuale e giunge alla conclusione che niente, per le nostre vite, è più importante delle relazioni reali, il guardarci negli occhi.
Inaugurata il 27 giugno 2019 la mostra, si protrarrà fino al 10 giugno 2019.