Hallu! L’onda coreana che invade il mondo
È Corea – mania. Inequivocabilmente conclamata dalla prossima mostra presso il Victoria and Albert Museum di Londra, Hallu! The Korean Wave, l’impatto globale della cultura e dello stile coreano.
L’inizio della coreanizzazione ha una data il 15 luglio 2012 quando il videoclip della canzone (e il ballo) Gangnam Style viene caricato sulla piattaforma YouTube. Canta PSY, al secolo Park Kae Sang, trentenne di famiglia benestante che ha dedicato al quartiere dove vive di Seul la canzone che ne porta il titolo.
Successo clamoroso: dal successivo 24 novembre 2012 fino all’11 luglio 2017 è il video più visto della piattaforma per un totale di 3 miliardi di visualizzazioni che diventano 4, il 7 marzo 2021. Nello stesso anno sono 4.95 miliardi di persone al mondo ad avere accesso al web e YouTube è il secondo sito più visitato al mondo, dopo Google (proprietario del primo), che però è un motore di ricerca.
Chi in questi anni, qualsiasi siano la sua età e i suoi gusti non ha visto il video Gangnam Style? In Italia, a parte i flash mob e similari, raggiunse la Tv generalista (RAI 2 in prima serata), con l’imitazione dell’attore comico Gabriele Cirilli che ne fece un riuscito tormentone nella trasmissione Tale e quale show
La fotografia di PSY, in piena performance della sua fortunata canzone, apre lo spazio riversato alla mostra sul sito del museo londinese.
Sembra che il video prepari il mondo ad accogliere l’onda coreana. Ne è una sorta di compendio: Gangnam, dicevamo, è il quartiere più celebre di Seul, capitale della Corea del Sud, dicevamo famoso per la sua ricchezza dei suoi abitanti ma anche per la presenza delle sedi delle aziende come le multinazionali LG e la Samsung e le estere Toyota e Google.
Nel video appaiono vari personaggi della cultura pop coreana, il conduttore e comico Yoo Jae sud e il comico No Hong – chut e, dopo pochi mesi, una ripubblicazione con la voce della cantautrice Hyuna, in versione par condicio (almeno per i generi binari) con il testo dalla prospettiva femminile che diventa Oppa is Just my stile.
A distanza di 10 anni la canzone è considerata K-pop. Perché il Fattore K (K da korean – coreano in inglese – da non confondersi con la locuzione gergale politica di fine Novecento) sta invadendo il mondo: tutti pazzi per il k-pop, il k-drama, il k-cinema, il k-fashion e il k-beauty, con i suoi prodotti per i famosi 10 passaggi che garantiscono una cute radiosa (ma sconsigliati per chi ha la pelle delicata).
Stiamo esagerando? Pensiamo di no. L’influenza della Corea del Sud sulla musica, moda, cosmetica, cinema e teatro e Tv streaming degli ultimi anni è confermata dalla mostra londinese e da fatti che ci sembrano incontrovertibili.
Il primo: il termine hallu, l’equivalente di korean wawe (onda coreana), deriva da un neologismo cinese. Non ci sono pareri unanimi ma i più sembrano concordi che sia stato coniato alla fine degli anni Novanta dalla televisione cinese, come titolo per una serie televisiva coreana: hanliu.
Il termine, poi, introdotto in Giappone è diventato hanryu o kanryu: se ne trovano tracce sulla stampa già nel 2001. È una questione di numeri: all’inizio del nuovo Millennio il Fattore K iniziava a conquistare il continente asiatico che corrisponde a una bella fetta della popolazione mondiale.
Gli idol, i gruppi musicali (che affondano le radici nella tradizione del primo Novecento, poi diventati gli attuali artisti forgiati dalle apposite agenzie) hanno conquistato il mondo musicale globale al punto da eguagliare (superare?) la fortuna di quella anglosassone: il brano Dynamite dei Bts pubblicato nel 2020 ha ricevuto la critica positiva del New York Times e la rivista Rolling Stone lo ha inserito tra le 500 migliori canzoni di tutti i tempi.
I fans fanno di più: a New York “hanno pagato di tasca propria i tabelloni di Times Square per celebrare il quinto compleanno del gruppo” ha rivelato a il venerdì, Val del Prete, l’italiana che vive a Londra dove lavora come topliner vocal producer, ossia compositrice di testi e melodie vocali per i k– pop idol.
E ancora nel 2021 l’Oxford Dictionary tra i suoi lemmi ne ha inseriti 26 coreani. Oltre ai vari K già menzionati, troviamo il termine hanbok, l’abito tradizionale coreano reinterpretato dagli stilisti odierni come Ji Won Choi (firma per Adidas) tra le presenze dell’attento excursus allestito dal V&A che, dal 24 settembre 2022 e fino a giugno 2023, mostrerà la storia straordinaria di un popolo ancora in guerra negli anni Cinquanta e, quindi, poverissimo oggi leader della cultura pop globale: all’inizio in forma del tutto spontanea oggi strategicamente studiata, vero strumento di soft-power.
Mentre i coreani vivono tutte le contraddizioni di una storia positiva ma che è andata troppo veloce per essere metabolizzata.
Lo racconta il film Parasite (4 premi Oscar nel 2020) e la cruda serie televisiva Netflix Squid Game (Il gioco del calamaro) vincitore dell’Emmy 2022.
Immagini: 1) PSY e la cantautrice Hyuna nel video da record ‘Gangnam Style’ del 2012; 2) Anni Settanta, operaie alla Samsung; 3) gruppo idol Bts: il loro brano Dynamite è stato premiato dalla critica e dal pubblico; 3) la stilista Ji Won Choi firma per Adidas