Abraham B. Joshua. Lo scrittore che amava il libro Cuore
Lo scrittore Abraham B. Joshua (ma per molti Abraham Yehoshua ) ci ha appena lasciati ma, come accade per ogni voce potente per intelligenza, sensibilità ed empatica, già ne sentiamo la mancanza.
Aveva 85 anni e la malattia contro la quale combatteva da tempo ha avuto la meglio il 14 giugno 2022.
Era israeliano, non proveniva dalla diaspora del Novecento, era nato a Gerusalemme nel 1936 da una famiglia di Salonicco giunta in Palestina già nell’Ottocento, di origine sefardita che spiega come la sua identità ebraica (tema caro all’autore) si rifletteva nell’universalità mediterranea.
Aveva frequentato la Rehavia Gymnasium High School, prestato servizio nell’IDF come paracadutista, per poi studiare letteratura all’Università Ebraica di Gerusalemme.
Come scrittore debuttò con la pubblicazione della raccolta di racconti La morte del vecchio negli anni Sessanta. Nel 1977 il suo primo romanzo L’amante. Seguiranno capolavori come Un divorzio tardivo, Il signor Mani, La sposa liberata (Premio Internazionale Tommaso Lampedusa), composizioni che risalgono ormai a oltre una generazione fa, ma nulla hanno perso della loro caratura narrativa, spirituale e culturale. L’ originalità di contenuto con spiccata capacità introspettiva e la ricca levatura formale, non subiscono l’usura di un tempo, come l’attuale, che non si limita ad allontanarci dal passato ma ci trascina in un’altra era.
L’ultima fatica letteraria, recentissima, La figlia unica (ed. Einaudi, 2021), Joshua l’ha ambienta in Italia, tra Venezia e Padova. Definita dallo stesso autore “il mio commiato”; l’opera tratta dell’identità ebraica italiana, particolarmente interessante per il “suo contatto con il cristianesimo”.
Ma è anche espressione di un amore reciproco quello tra noi italiani (lettori e non) e Joshua che della nostra letteratura amava il libro Cuore di Edmondo De Amicis “un grande romanzo che mi ha spinto a fare questo lavoro” e poi gli scrittori “Giorgio Bassani, Leonardo Sciascia e Alessandro Manzoni”.
Impegnato politicamente, insieme agli scrittori Amos Oz e David Grossman chiese al Governo israeliano di cessare il fuoco nel corso della seconda guerra del Libano (2006).
Nel gennaio 2018 ancora i tre scrittori, con altri intellettuali israeliani, firmarono un appello rivolto ai membri del Knesset (il Parlamento di Gerusalemme) contro le espulsioni di circa 35mila richiedenti asilo in Israele, provenienti dall’Eritrea e dal Sudan. “La nostra storia come popolo ebraico non lo permette” il titolo del testo che ricordava come “uomini e donne che portano sui loro corpi e nelle anime orribili cicatrici dei loro viaggi e dei campi di torture nel Sinai. E bambini nati in Israele che ci chiedono una sola cosa: vivere. […]. Dobbiamo agire moralmente, umanamente e con compassione degni del popolo ebraico. Altrimenti (riferendosi al Giorno della Memoria che sarebbe ricorso da lì a pochi giorni, ndr) non avremo ragione di esistere”.