28 ottobre del 1922, quando si marciò su Roma
“Noi divideremo gli italiani in tre categorie: gli indifferenti che rimarranno nelle loro case ad attendere, i simpatizzanti che potranno circolare e i nemici che non circoleranno” disse Benito Mussolini, capo del Partito Fascista, alla vigilia della marcia su Roma del 28 ottobre 1922.
Nella notte tra il 27 e il 28 il re Vittorio Emanuele III di Savoia revocò lo stato d’assedio predisposto il giorno prima, aprendo le porte agli squadristi fascisti che da Santa Marinella, Tivoli e Monterotondo marciavano verso Roma dove entrarono indisturbati. Si compiva così la “rivoluzione delle camicie nere” come pomposamente venne definita dai suoi protagonisti che scelsero il 28 ottobre come data dell’inizio dell’era fascista.
In realtà questa marcia su Roma (come passerà anche alla Storia) era il risultato di una politica di governo debole a iniziare dal re (che 72 ore dopo affidava a Benito Mussolini, giunto appositamente da Milano, il compito di formare il governo), di un’opposizione troppo divisa, ma soprattutto della violenza dello squadrismo, l’arma più efficace della forza politica nascente.
Lo squadrismo si risolveva in bande che si costituivano intorno a capi politico-militari (che rispondevano a Benito Mussolini) che si facevano chiamare ras (come i signori feudali etiopici) e dove dalle vaste aree agricole della Pianura Padana, dal 1919 al 1922 (sarà detto il biennio nero) ferirono e uccisero migliaia di militanti sinistra, di partecipanti alle leghe sindacali cattoliche, smantellarono organizzazioni e cooperative del movimento contadino ed operario e distrussero sedi socialiste, sindacati e fino a municipi non allineati.
Erano giovani o giovanissimi, figli di una profonda crisi che attraversava l’Italia dalla fine della Prima guerra mondiale, che aveva impoverito il Paese senza ottenere una vittoria soddisfacente, che agivano indossando la camicia nera (altro simbolo del nuovo partito) come fosse una divisa, armati e provvisti di mezzi di trasporto con i quali si muovevano con grande rapidità. Erano i fasci di combattimento, appunto, apprezzati dapprima dai proprietari terrieri piccoli e grandi (affermazione del fascismo agrario) che mal sopportavano le rivendicazioni dei lavoratori e man mano dalla stessa borghesia urbana e, quindi, dal ceto economico e da quello culturale, spaventati dalla parallela ascesa del bolscevismo in Russia.
Nel ilsole24ore.com, lo storico Emilio Gentile, in un suo *articolo scritto in occasione dei 150 degli anni della testata madre, Il Sole, fondata nel 1865, ricordava l’editoriale che la stessa pubblicava il 29 ottobre 1922, intitolato La legge del dovere.
Scrive Gentile che “il giornale non soltanto approvò la violenza fascista contro socialisti e comunisti, ma deprecò il «lagnarsi troppo delle intimazioni che le forze fasciste […]» intimazioni giustificate dalla costante debolezza manifestata dai governanti: «senza atti vigorosi» scriveva Il Sole, non sarebbe stato possibile «creare quella condizione di equilibrio senza della quale non vi può essere salvezza». La borghesia, proseguiva l’editoriale si era rivolta ai «generosi fascisti» che tanto avevano contribuito a «fiaccare l’idra bolscevica», abbandonando i mezzi legali per ottenere la salvezza della nazione”.
“Nei giorni successivi all’arrivo di Mussolini a Roma (avvenuto il giorno dopo la marcia, ndr) – prosegue il ricordo – Il Sole tranquillizzò i lettori facendo loro sapere che i circoli finanziari seguivano le vicende italiane con «serenità e con «la fiduciosa aspettativa dell’opera risanatrice del nuovo Ministero». Va rilevato intanto che dalle Borse estere ci giunsero quotazioni della nostra lira assai lusinghiere”.
Esortava però l’editoriale che il fascismo ora avrebbe dovuto «avere il senso del limite in ogni suo atto, poiché è il senso del limite quello che può costituire il diritto. Se così sarà si potrà veramente ridare all’Italia la sua pace e sollecitamente avviarla al suo rinnovamento economico».
Senso del limite? Dal 1922 al 1925 venne operata una chirurgica fascistizzazione dello Stato che portò l’Italia sotto il regime dittatoriale.
Oltre alle migliaia di oppositori di qualunque matrice politica, o presunti tali, mandati, al confino, gli squadristi continuarono ad agire anche sotto il governo di Benito Mussolini (31 ottobre 1922 – 25 luglio 1943) responsabili delle morti alcune anonime altre storiche come quelle: del presbitero Don Giovanni Minzoni, agosto 1923, del deputato socialista Giacomo Matteotti, nel giugno 1924 dopo aver denunciato la violenza del clima i brogli alle elezioni politiche appena avvenute, del giornalista e filosofo liberale Piero Gobetti, debilitato dagli attacchi fisici degli squadristi si spegnerà appena giunto in esilio a Parigi nel febbraio 1926, ad aprile dello stesso anno fu la volta del politico ed accademico Giovanni Amendola, il leader e pensatore comunista Antonio Gramsci, nell’aprile 1937, dopo lunghi anni trascorsi in carcere, pochi mesi dopo a giugno morivano i fratelli Carlo e Nello Rosselli, l’esilio a Parigi, per mano di estremisti di destra sotto l’ordine partito, probabilmente da Roma.
Nel 1938 vennero emanate le Leggi Razziali, il 10 giugno 1940, dal balcone di Palazzo Venezia, Benito Mussolini annunciava la dichiarazione di guerra alla Francia e al Regno Unito, portando l’Italia nella Seconda guerra mondiale.
*articolo: ‘Quegli occhi chiusi della borghesia sul fascismo‘ di Emilio Gentile, ilsole24.com, 1 maggio, 2016
Immagini: 1) ottobre 1922, partecipanti alla marcia su Roma (photo by National Geographic); 2) stesso periodo, Benito Mussolini circondato dalle sue ‘camicie nere’