Sabine Weiss. La poesia della realtà attraverso l’emozione di uno scatto
Sabine Weiss, l’unica donna fotografa del dopo guerra ad aver frequentato tutti i campi dell’immagine è stata sorpresa dalla morte lo scorso 28 dicembre mentre, a dispetto della veneranda età di 97 anni, lavorava per la mostra a lei dedicata alla Casa dei Tre Oci di Venezia.
Nata Weber in Svizzera nel 1924 ma naturalizzata francese e sostituito il proprio cognome con quello del marito, il pittore Hugh Weiss (1925-2007) grande amore della sua vita, più portata “per l’immagine”, come dirà, che per gli studi, si avvicinò molto presto alla fotografia, diventando apprendista nello studio di Frédéric Boissonnas di Ginevra.
Trasferitasi a Parigi nel 1946 divenne l’assistente di Willy Maywald (1907-1985) il fotografo che presentò al mondo il rivoluzionario Dior che seppe ridare alla moda francese il primato che aveva prima della Seconda guerra mondiale; nel 1950 incontrò Hugh e inizio la professione indipendente fino ad essere chiamata, nel 1952, dalla più importante agenzia di stampa francese del tempo la Rapho, su segnalazione del celebre fotografo Robert Doisneau. Dal 1953 i suoi scatti apparirono sulle maggiori testate giornalistiche, da Vogue al New York Times.
Diceva che una fotografia per essere potente “deve parlare della condizione umana” e trasmettere “l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto”. Facile intendere, dunque, come rientra a buon diritto nella schiera degli illustri umanisti francesi insieme allo stesso Doisneau oltre a Willy Ronis, Édouard Boubat e Izis.
Sabine Weiss amava i ritratti: ne ha fatti di celebri a celebri persone del mondo dello spettacolo e dell’arte ma senza mai dimenticare i bambini, che amava molto e i più deboli e disagiati.
Tutto questo e molto altro si ritrova nella mostra citata a Venezia per la quale Weiss ha aperto per la prima volta, i suoi archivi personali permettendo alla curatrice, Virgine Chardin di allestire la più ampia retrospettiva che le sia stata mai dedicata in Italia.
Scatti inediti, dunque, alla Casa dei Tre Oci, come la serie dedicata ai manicomi francesi realizzata nell’inverno 1951-52, nel dipartimento dello Cher o 4 i scatti del 1954 che vedono protagonista il grande scultore svizzero Alberto Giacometti (1901- 1966), al quale era legata da grande amicizia ma prima lo era della moglie Annette, conosciuta al liceo in Svizzera e ritrovata casualmente a Parigi, come moglie di Alberto.
200 immagini che, ripercorrendo tutta la vita e la carriera dell’ultima umanista – dal 1935 agli anni Ottanta – ci catapultano anche nella storia del Novecento senza mai perdere, come recita appropriatamente il titolo della mostra, la poesia dell’instante.
Casa dei Tre Oci, Venezia, fino al 23 ottobre 2022.
Gli scatti di Sabine Weiss
Anziani, Parigi – 1952
Parigi, Alberto e Annette Giacometti, nello studio dello scultore – 1954
Bambini dal mondo
Moda, Vogue, 1955