Mentre il ghiaccio si scioglie gli attivisti ecologisti vengono uccisi
È recentissima la notizia dell’improvviso scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia, dove in 24 ore si sono riversati nell’oceano oltre 10 miliardi di tonnellate d’acqua e la temperatura ha registrato un record assoluto, 23 gradi: 13 in più rispetto alla media stagionale.
L’Onu ha rilanciato l’allarme ribadendo che è urgente ridurre drasticamente le emissioni dei gas serra responsabili dei cambiamenti climatici.
Eppure nonostante queste evidenti conseguenze pericolosissime che vive, in modo più o manifesto, ogni parte del mondo, c’è chi per continuare a sfruttare economicamente le risorse della Terra non solo nega la responsabilità delle attività antropiche ma arriva a uccidere i difensori del Pianeta.
Il Rapporto Enemies of the State? dell’organizzazione non governativa Global Witness, pubblicato a fine luglio 2019, indica 164 militanti ecologisti uccisi nel 2018, perché contrastavano lo sfruttamento delle miniere, le coltivazioni agricole intensive, le deforestazioni.
Il numero delle vittime è non è preciso, perché, scrive Global Witness, molti omicidi non vengono perseguiti, mentre molti attivisti retrocedono dal loro impegno a causa delle minacce e delle ritorsioni che subiscono.
Il Rapporto riporta vari fatti accaduti nel mondo come:
il massacro di Thoothukudi in Tamil Nadu (India), dove nel maggio del 2018 nel corso di una manifestazione contro il progetto per una miniera di rame, sono stati uccise dalla polizia 13 persone e altre decine sono state ferite;
nello Stato di Pará (Amazzonia brasiliana) sono state registrate 8 vittime. Fra loro il leader ambientalista Paulo Sérgio Almeida Nascimento, appartenente all’Associazione Indigenas e Quilombolas da Amazônia, impegnata nel monitoraggio dei presunti danni ambientali provocati delle attività irregolari in una miniera di proprietà di una compagnia norvegese, dalla quale viene estratto la bauxite. Almeida Nascimento dopo aver denunciato lo sversamento di fanghi rossi provenienti dalla miniera è stato ucciso nel marzo 2018 con 4 colpi di arma da fuoco, davanti alla porta della sua abitazione. Ricordiamo che l’amministrazione dell’attuale presidente del Brasile Jair Bolsonaro, rispettando la promessa fatta durante la sua campagna elettorale, da gennaio 2019 ha aperto le riserve indigene allo sfruttamento minerario;
strage anche nell’Isola di Negros, nelle Filippine e ancora nel corso di una manifestazione dei coltivatori di canna da zucchero che protestavano per la difesa del proprio territorio: 9 le persone uccise, incluso donne e bambini;
in Messico Julián Carrillo è stato ucciso nell’ottobre 2018. Era minacciato da anni ed è stato la sesta vittima della sua famiglia (nell’arco di 2 anni) che si è opposta allo sfruttamento della miniera nei territori della sua comunità;
in Iràn, ha lasciato la vita in circostanze poco chiare mentre era in prigione l’accademico Kavous Seyed-Emami, uno dei 9 ambientalisti in carcere con l’accusa di usare il loro lavoro nella difesa dei ghepardi (per il WWF specie in via di estinzione) come copertura per l’attività di spionaggio.
La lista delle cause
Gli attivisti ecologisti sono sempre più invisi (un fenomeno che esiste ovunque nel mondo, denuncia l’Onu), perché cresce la domanda dei prodotti di consumo, alimentare e la produzione di gioielli e prodotti tecnologici.
Secondo il rapporto la ragione che ha causato più vittime ecologiste nel 2018 è l’estrazione mineraria (47 omicidi), seguita dai conflitti per lo sfruttamento della terra a favore dell’ agroindustria (21 vittime) e dell’accaparramento delle fonti d’acqua (17 omicidi). Corre grandi pericoli anche chi si oppone ai progetti idroelettrici e allo sviluppo dell’industria del legno.
I Paesi più pericolosi e gli autori degli omicidi
Il Paese che ha registrato più vittime sono le Filippine, ma il Guatemala si distingue per l’aumento degli omicidi che si sono “quintuplicati”, facendo del Paese il più pericoloso in termini di assassini pro capite.
A compiere gli omicidi sono i gruppi della sicurezza privata, le forze statali e i sicari: spesso, afferma il Rapporto, tali soggetti agiscono, congiuntamente.
Nuovi metodi per delegittimare gli attivisti ecologici
Molti difensori dell’ambiente, una volta arrestati non sono trattati come manifestanti ma condannati con le stesse pene riservate ai terroristi.
Nel 2018, il Global Witness ha documentato, per la prima volta, nuove forme di criminalizzazione degli attivisti ecologici: alcuni governi li accusano di terrorismo o di essere “nemici dello Stato”, come abbiamo visto è accaduto in Iran; oppure “allentano le leggi nazionali per criminalizzare le proteste sociali”, come accade “nel Regno Unito con la repressione dell’attivismo anti-fracking”. Metodi questi ultimi, utili per “criminalizzare gli attivisti in modo tale da far sembrare legittimi (all’opinione pubblica ndr) gli attacchi nei loro confronti”.
Una tendenza, asserisce il Rapporto, che si verifica “in tutto il mondo” ma soprattutto nei Paesi guidati “da politici populisti che stanno eliminando le misure a salvaguardia dell’ambiente, proprio nel momento in cui ne abbiamo più bisogno”.
“Dicono che siamo gruppi armati, terroristi, delinquenti, assassini – ha dichiarato Joel Raymundo, membro del movimento collettivo Resistencia Pacífica de la Microrregión de Ixquisis, vincitore del Front Line Defenders, premio internazionale per la difesa dei diritti umani – in realtà quello che accade e che ci stanno uccidendo”.