Giornalisti, volete sopravvivere? Allora, siate costruttivi

“I giornali non si vendono più”. Quante volte sentiamo giornalisti, editori, operatori dell’informazione che, sospirando, dicono questa frase? Spesso. La risposta? Secondo uno studio stilato sotto l’egida dell’Università del Texas, la risposta migliore da dare alla crisi è fare del giornalismo costruttivo. 

“Il Giornalismo costruttivo non è semplicemente un giornalismo buonista, o quello che dà solo ‘buone notizie’, ma fa molto di più”: questo si legge nel documento finale che è stato poi ripreso per stilare il programma di un vero e proprio corso per giornalisti e operatori del settore (la cui scheda di presentazione si può leggere cliccando su www.constructivejournalism.org/italian). Essere costruttivi vuol dire essere narratori di storie che non si accontentano dello scandalo, ma che fanno inchiesta e raccontano notizie basandosi sull’andare oltre, cercando di dare suggerimenti sul “come” si possano superare certi problemi o grattacapi.

Ma siamo sicuri che sia giornalismo, e non politica? – Perché, in effetti, c’è già una categoria di persone (anzi, di agenti sociali) che di mestiere dovrebbe indicare soluzioni: sono i politici. La politica dovrebbe essere infatti quella scienza attraverso la quale i problemi della società vengono affrontati e superati attraverso soluzioni dettate da impianti morali, etici, economici e sociali che possono collidere tra loro (collisione dalla quale scaturisce l’alternanza e la lotta politica stessa). Alt, però: non è di questo che stiamo parlando. Ricordiamoci sempre che tutta questa riflessione sta nascendo ed è nata in ambito anglosassone, e lì sanno (molto meglio di noi latini) quale sia la differenza tra giornalismo e partigianeria politica. Infatti: nel manifesto del corso di giornalismo costruttivo a cui facevamo riferimento prima si legge: “Il giornalismo costruttivo non è filo-governativo”, e, soprattutto, “è un giornalismo che si prende cura e si preoccupa del suo pubblico, mettendo sullo stesso piano la premura e la conoscenza” ed è, anche, “un giornalismo critico, ma con un approccio costruttivo e non negativo”. Cioè: le soluzioni costruttive veicolate sono raccontate, non formulate. E, se anche fossero formulate dal giornalista formato a farlo, non hanno una coloritura politica partigiana, non sono lotta politica: sono cura premurosa della conoscenza.

Ma, funziona? Per avvalorare l’impatto di questo paradigma lavorativo il professor Alex Curry dell’Università del Texas ha condotto un’indagine su 700 individui. A questi sono stati propinati sei articoli ispirati a storie contenute in veri articoli pubblicati dal New York Times e relativi a problemi sociali rilevanti come senzatetto, traumi infantili, povertà. Questi temi erano stati trattati in altrettante coppie di articoli di cui uno conteneva la mera denuncia del problema, l’altro si concludeva con una possibile soluzione. Ebbene: i lettori a cui era stato somministrato l’articolo “costruttivo” si dicevano, dopo averlo letto, più “informati e interessati” all’argomento rispetto ai lettori che avevano letto il pezzo di sola denuncia. Non solo: erano anche ben più intenzionati a cercare altri articoli dello stesso genere sulla testata, si dimostravano ben più ottimisti e, soprattutto, ben più intenzionati a condividere il pezzo sui propri canali social (una vera e propria manna dal cielo per gli inserzionisti e le agenzie di pubblicità).

Quindi, tutti costruttivi? – I ricercatori dello studio sono dunque ben convinti che il giornalismo costruttivo (a cui loro fanno spesso riferimento come “orientato alle soluzioni”) sia una bella idea per fare del buon giornalismo e, soprattutto, per rendere la pratica giornalistica più redditizia. Speriamo…

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