I trattati di Roma: 60 anni di pace

Insieme dal 1957La celebrazione dei 60 anni dai Trattati di Roma, che avverrà a Roma il 25 marzo 2017, sarà marcata dalla Dichiarazione di Roma, un documento con il quale si vuole rilanciare l’Unione post Brexit e tracciare la prospettiva dell’UE nei prossimi dieci anni.
“L’idea di fondo è di disegnare un’Europa più forte e coesa” ha dichiarato il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni “sul ruolo della sicurezza; più solidale e unita sul terreno dell’immigrazione e più impegnata sul terreno della crescita e degli investimenti”.

Il documento al quale hanno  aderito i 27 membri dell’Unione (assente ormai il Regno Unito), il 21 marzo 2017, si apre sui valori dell’Unione, mostrando il fattore basilare generato: i 60 anni di pace che l’Unione ha garantito a nazioni che per secoli si sono costantemente osteggiate con feroci conflitti, di cui l’ultimo risalente a poco più di 70 anni fa. Un soffio di tempo per la storia, che fa comprendere come la pace nel continente europeo non vada data per scontata, ma al contrario vada costantemente coltivata.

Seguono i diritti garantiti ai cittadini e i 4 punti sui quali s’intende sviluppare la prossima politica comune dell’Unione: sicurezza, difesa, migrazioni, politiche sociali e crescita.

I motivi della crisi in atto

la crisi europeaArrivare al testo unico del documento non è stato facile. Gli osservatori commentano che, rispetto alla sua prima stesura, il testo è stato molto “annacquato”.  Altrimenti non sarebbe stato siglato dai 27 Paesi membri. È noto, purtroppo, come l’anniversario cada in uno dei momenti più difficili per l’Unione, scossa, per non dire minacciata, dai troppi diversi punti di vista dei paesi membri, soprattutto per la divisione tra gli europei dell’Ovest e quelli dell’Est.

Il cosiddetto gruppo Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia), con la Polonia in testa, resistono a cedere sovranità nazionale a favore di una politica comune, ma al tempo stesso ostacolano la decisione dell’Europa a 2 velocità. Una possibilità, quest’ultima, non di recente discussione, che permetterebbe ad alcuni membri dell’Unione si procedere nell’integrazione su alcuni aspetti specifici, sul modello dell’adesione all’euro come moneta unica (adottata da 19 paesi dei 28 Stati membri) e della Convenzione di Schengenm che regola dal 1990 l’apertura delle frontiere, quindi della libera circolazione, tra i paesi partecipanti che ha visto la graduale entrata nella Convenzione di 22 Stati su i 28 (presto 27) Paesi dell’Unione.

Una soluzione che non vorrebbe escludere, ma al contrario rafforzare il nucleo centrale dell’Unione, dando lo spazio e il tempo necessario agli altri stati, per mettersi al passo senza affanni. “Uniti nella diversità” è stato il commento di Angela Merkel.  D’altronde ricorda lo storico dell’Europa, Roberto Castaldi, fin dai suoi albori, l’Unione è una storia a 2 velocità, che ha visto la sua costruzione realizzarsi per tappe lanciate e raggiunte da un’iniziale gruppo d’avanguardia seguito poi dagli altri Stati.

Il gruppo Visegrad vede contrapporsi gli altri leader, giustamente  consapevoli che dopo la crisi economica (per alcuni stati tutt’altro che superata), gli Stati Uniti di Trump e la Russia di Putin concretamente contrari all’Unione, con i populisti che travagliano la democrazia nel continente, l’unica soluzione possibile è il rafforzamento dell’Unione, con la prossima prospettiva del raggiungimento della politica federale.

La crisi dell’Unione Europea sarà fotografata a Roma lo stesso 25 marzo. Una città non in festa ma blindata e per i suoi residenti inaccessibile, a causa di 2 sit-in e 4 cortei  antagonisti fra loro (i favorevoli, i favorevoli ma federalisti, i contrari all’UE etc.), che percorreranno le sue strade, non solo quelle strettamente centrali.  In particolare induce a preoccupazioni il corteo organizzato dalla piattaforma Eurostop, a rischio d’infiltrazioni di frange violente.  Minacce di “guerrilla” urbana a Roma.

A completare il quadro, un pensiero a parte merita la Grecia, culla della civiltà occidentale, che ancora combatte con la crisi economica, soprattutto, a causa della politica di austerity che gli è stata imposta dall’Unione. E le prossime elezioni  presidenziali francesi, 23 al 7 maggio 2017, che paventano la Frexit, l’uscita dall’Unione della Francia, nel caso vincesse Marine Le Pen, leader della destra francese antieuropeista. Mentre ci sono i Balcani occidentali che premono per entrare; un “allargamento del vicinato”, così definito da Gentiloni, che vede l’Italia molto favorevole.

Fatti gli europei ora facciamo l’Europa

Sergio MattarellaEppure rimane la necessità urgente di creare, entro i prossimi 10 anni come ci ricorda Castaldi, una difesa e una finanza comune, per essere in grado di affrontare i grandi Paesi continenti che, inevitabilmente, acquistano sempre maggiore importanza nel determinare il destino del Pianeta.

Così come rimane il sentimento europeo della cittadinanza, che a parte alcuni mugugni, si espande e si rafforza; un orgoglio sovranazionale condiviso dell’indiscusso primato civile, derivato dalle sue  variegate e molteplici espressioni storiche, culturali e artistiche.

“Fatti gli europei è ora necessario fare l’Europa” ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (nella foto a lato), nel suo discorso al Parlamento dedicato alle celebrazioni del 25 marzo, invitando i leader europei a “visioni più lungimiranti, convinto, e noi con lui, che saranno le “persone, particolarmente i giovani che già vivono l’Europa, a rappresentare la garanzia dell’irreversibilità della sua integrazione”.

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