Le isole di plastica galleggianti. Nuovi habitat inquinati ma vitali

C’è vita nelle isole di plastica galleggianti nei nostri mari. Tra le tante conseguenze nefaste dei rifiuti marini di plastica e della loro aggregazione in zattere, c’è una imprevista, finora trascurata ma “gravissima”, ossia la loro trasformazione in immensi habitat per le specie costiere. Dove le conoscenze biologiche ritenevano che tali specie come molluschi, crostacei o anemoni, non potessero né arrivarci né sopravvivere vi stanno, invece, proliferando e formando nuove colonie, dando vita a un nuovo ecosistema, definito nel 2013  plastisfera (al pari della biosfera), colonizzata da questa nuova comunità

Alcuni di questi micro organismi delle nuove comunità sviluppano enzimi che gli permetteno di degradare la plastica per nutrirsene. Nell’estate 2020 all’interno di varie comunità della plastisfera sono stati individuati 2 batteri che degradano il Polietilene tereftalato, ossia il famigerato PET.

Tutto ciò è descritto da uno studio internazionale pubblicato sulla rivista scientifica Nature – prima firma Linsey E. Haram – che finora ha contato più di 40 specie differenti e che ha definito la nuova comunità in questione definita dagli autori neo pelagica.

“È stata una sorpresa scoprire che questi animali costieri vi riescano ad alimentarsi, quando si pensava che necessitassero di fonti di cibo che caratterizzano le coste” scrivono gli autori.

Tale scoperta risale allo tsunami giapponese del 2011. Allora rifiuti plastici, trascinati in mare dalla potenza del maremoto, sono giunti fino alle coste nordamericane trasportando 300 specie costiere le quali, nonostante fossero in alto mare sono sopravvissute e si sono riprodotte.  La scoperta si deve alla collaborazione con l’Ocean Voyages Istitute, un’ong dedita alla rimozione delle plastiche galleggianti che formano il Great Pacific Garbage Patch, situato nel vortice subtropicale del nord del Pacifico. Qui i ricercatori hanno riscontrato l’esistenza delle nuove specie pelagiche.

Le isole di plastica sono quindi dei nuovi habitat colonizzati da specie che riescono a nutrirsi nonostante non abitino in contesti non programmati dalla loro storia evolutiva, ma creati involontariamente dall’uomo, e nei quali vi si adattano con straordinaria versatilità.

Dunque che le plastiche fluttuanti, sono colonizzate da microrganismi che generano forme di vita; si teme ora che le aggregazioni di plastica, materiale com’è noto non è biodegradabile e quindi persistente provochi la diffusione di specie aliene invasive e in grado di colonizzare nuovi habitat.

Da cui la domanda d’obbligo.  Stimando che ogni anno finiscono nei mari circa 14 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica equivalenti all’80% dei rifiuti marini e per il 2050 è previsto il loro aumento esponenziale per un totale di 25mila tonnellate di rifiuti, la fauna e la flora dei nostri mari sarà come quella che conosciamo oggi?

 

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