Obiettori di coscienza oltre i limiti della coscienza
Fin dall’approvazione della legge sulle Unioni Civili, più conosciuta come “la Cirinnà,” alcuni sindaci avevano dichiarato che si sarebbero astenuti dalla registrazione delle Unioni Civili.
I più cauti avevano specificato che si sarebbero sottratti dall’atto delegandolo, come la legge prevede, i più radicali, si dicevano pronti alla disobbedienza civile. In pratica in Italia si andava formando una nuova tipologia di obiettori di coscienza, i sindaci.
Massimo Bitonci, (nella foto in alto), esponente del Carroccio e sindaco di Padova dichiarò alla stampa che “da sindaco si sarebbe riservato il diritto di obiettare”. Anticipando il suo leader Matteo Salvini, che attraverso il web aveva esortato i “suoi” sindaci oltre a rifiutarsi di celebrare le unioni civili e a non riconoscerle.
Proprio in questi giorni, stiamo assistendo al rifiuto da parte del sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza di utilizzare la sala matrimonio per il regolare svolgimento dell’istituzione delle unioni civili nella città che amministra.
Autentica voglia di condurre una battaglia ideale – o ideologica – o parole consapevolmente prive di significato ma usate comunque per fini strumentali? Il dubbio è legittimo e vediamo il perché.
Il testo Cirinnà, prevedendo la reazione dei conservatori e il rischio che la legge potesse trovare presso i comuni degli impedimenti alla sua applicazione, volutamente non fa mai riferimento ai sindaci.
Come disse la stessa Monica Cirinnà (nella foto a lato), “sarà impossibile nei Comuni bloccare il nuovo istituto giuridico“. Affermazione poi raccolta da Franco Frattini, presidente della sezione atti normativi del Consiglio di Stato, che precisò che il testo legislativo fa riferimento non ai sindaci in particolare ma parla di ufficiali di stato civile “una platea talmente ampia da garantire l’applicazione della norma”.
Queste Unioni sanno da fare
Il testo di legge e il consiglio di Stato quindi hanno sbarrato la strada ai sindaci obiettori di coscienza.
Sempre che non si consideri il sindaco obiettore di coscienza, una contraddizione con la natura stessa del suo incarico. Un ossimoro, una contraddizione in termini. Un sindaco che sceglie di amministrare, non può rifiutarsi di compiere un “atto d’ufficio”, perché giura sulla Costituzione e s’impegna a rispettarla.
Se si nega, incappa nel reato previsto dall’articolo 328 del codice penale, che regola il sanzionamento dei reati di rifiuto e omissione d’atti d’ufficio. Chi “indebitamente rifiuta l’atto d’ufficio” è punibile da 6 mesi a 2 anni, oltre ad essere soggetto a sanzioni pecuniarie e/o disciplinari, fino all’interdizione dai pubblici uffici.
I sindaci quindi devono celebrare le unioni civili o in alternativa, come indica il testo Cirinnà, possono delegare. Rammentandosi però che l’articolo 328 è applicabile non solo ai Pubblici Ufficiali ma a ogni singolo dipendente della Pubblica Amministrazione che si rifiuti o ometta di esercitare le sue mansioni “sia a seguito di un ordine di un proprio superiore, che a fronte di una situazione che richiede, per legge, un’immediata reazione”.
Per completezza d’informazione, il reato è tale solo a fronte di un rifiuto non adeguatamente motivato. Ma quale motivazione plausibile si potrebbe addurre, di fronte, al mancato rispetto di una legge dello Stato?!
Quindi queste unioni civili, scomodando Manzoni, sanno da fare.
L’obiezione di coscienza in campo sanitario
Diversa e più complessa è la situazione nel campo sanitario dove il diritto di obiezione di coscienza è riconosciuto anche nel testo di legge 194/1978 (articolo 9), in materia d’interruzione volontaria di gravidanza.
Al diritto di obiezione di coscienza possono ricorrere non solo i medici ma tutto il personale sanitario i quali possono esimersi dal fornire le motivazioni sul rifiuto della prestazione richiesta.
A 38 anni dall’entrata in vigore della legge 194, confermata dal referendum popolare del 1981, il risultato è che in Italia 7 ginecologi su 10 si oppongono alla sua applicazione.
Dati del Ministero della Sanità relativi al 2015 riportano le seguenti percentuali di obiettori di coscienza: Molise sono obiettori il 93,3% dei ginecologi, a Bolzano il 92,9%, in Basilicata il 90.2%, in Sicilia l’87,6%, in Puglial’86,1%, in Campania l’81,8% e nel Lazio e in Abruzzo l’80,7% . Dei 94 ospedali dotati del reparto di ostetricia e ginecologia sul nostro territorio nazionale, la legge è applicata sono in 62 strutture. Pari, quindi, al 65% del totale.
Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin (foto a destra), considera questa copertura “soddisfacente”, sebbene le percentuali riportate dimostrino l’esistenza di regioni, in concreto, prive dell’assistenza sanitaria per le donne residenti che richiedono l’interruzione di gravidanza, costrette quindi a partire se non a rivolgersi a strutture private non sempre legali, come denuncia la ginecologa Silvana Agatone, presidente di Laiga (Libera Associazione italiana – ginecologi – applicazione- legge 194). Donne obbligate ad affrontare oltre alla propria odissea emotiva, anche le traversie sanitarie.
Una situazione quella italiana che se lascia tranquillo il proprio dicastero preposto, ha destato invece la preoccupazione del Comitato europeo per i diritti sociali (Ceds) che l’ha giudicata “dannosa per la salute delle donne è ha condannato l’Italia con la seguente motivazione “Le donne a cui è negato l’accesso ai centri che praticano l’ivg (interruzione volontaria di gravidanza ndr) nella loro regione di residenza rischiano di essere effettivamente private del diritto, sancito per legge, a usufruire di questo servizio, non riuscendo a trovare soluzioni alternative per i tempi stretti”.
Cosa accade all’estero
Nei Paesi europei dove l’obiezione di coscienza è ammessa, i medici che vi fanno appello sono una minoranza. In Gran Bretagna, ad esempio, si dichiara obiettore di coscienza solo il 10% dei ginecologi, ma tutti gli operatori che decidono di lavorare nelle strutture di pianificazione familiare non possono dichiararsi obiettori. Come in Svezia, dove non solo l’obiezione di coscienza non è consentita, ma il ginecologo che dovesse rifiutarsi, dagli anni ’70 del secolo scorso, rischia la prigione.
Da rilevare, infine, in concetto fondamentale comune alle legislazioni in materia dei vari Paesi non solo europei: il considerare la donna come libera di disporre del proprio corpo e come l’unica ad avere il diritto, entro i limiti oggettivi prestabiliti a decidere sul destino del nascituro, escludendo l’autorità del padre o dello Stato.
Considerazioni
Scegliere di interrompere una gravidanza, per quanto convinta, è sempre una decisione drammatica, ma riguarda la donna. Un’esperienza delicata che rientra nella sfera più intima e privata di chi decide di compierla.
La responsabilità è individuale; di certo non del medico, il quale, poiché tale, prima della sua coscienza, dovrebbe, forse, essere consapevole del travaglio spirituale che spesso comporta questo tipo di scelta e, semmai, accompagnare la paziente nella difficile esperienza con la comprensione e l’empatia, proprie della sua professione.
Certo è che prima di compiere una scelta professionale o si accetta una funzione pubblica o ci si candida e si viene eletti rappresentanza dei cittadini, si dovrebbero valutare sempre i pro e i contro, perché ogni professione comporta onori e oneri è sta nelle responsabilità e serietà di ciascuno affrontarli entrambi.
La responsabilità individuale, lo ribadiamo, questo dovrebbe essere il punto; un tratto che, alla luce dei fatti, sembra non contraddistinguere la nostra società.
Probabile retaggio religioso, storico e politico che ha generato una società paternalista dove chi, si presuppone, sappia di più o occupa una posizione deliberativa, a volte finisce per decidere secondo il proprio punto di vista ciò che ritiene essere bene comune, venendo meno, paradossalmente alla propria peculiare responsabilità di professionista o uomo pubblico che sia e, costringendo gli altri alla propria decisione, al punto da non rispettare la dignità altrui e il diritto della persona. A farsi obiettori di coscienza, oltre i limiti della coscienza.