Dogman. Dal “Borghese piccolo piccolo “al canaro del Terzo Millennio
Dogman, un film che lascia il segno, uno di quei solchi scavati su un’umanità disarmante, a tratti quasi inesistente. Dissacrata ogni morale, nessuna restrizione logica che apre al giudizio, il facile giudizio che ti suggerisce cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Senza critica, senza riflessione.
Il regista Matteo Garrone (nella foto a lato) ci regala uno spaccato sur-reale di un’eventualità che corre sul filo nero di esistenze al limite, prede oggi di una cronaca scaltra ed affamata. La dialettica fra vittima e carnefice.
La trama della pellicola è liberamente tratta da fatti realmente accaduti sul finire degli anni ottanta del secolo scorso. Anni durante i quali la cronaca nera davvero faceva notizia, lasciando l’amaro in chi leggeva le anguste vicende e poi magari ne parlava timidamente in famiglia.
Si tratta della storia del “canaro della Magliana”, un toelettatore per cani Pietro Negri che torturò senza pietà fino ad ucciderlo Giancarlo Ricci, ex pugile. Entrambi complici di un furto. Una vendetta, un riscatto, una forma di giustizia fai da te. Chi siede sulla poltrona del cinema resta attonito dinnanzi alle immagini cruente e, mentre il sangue scorre, la disperazione del protagonista conquista inevitabilmente lo spettatore che si fa quasi complice.
Un brivido corre lungo la schiena, lo stesso che percuote durante la visione di “Un borghese piccolo piccolo”, capolavoro che vide al centro della scena un grande e indimenticabile Alberto Sordi. Nel film diretto da Mario Monicelli, il protagonista è un padre in prossimità della pensione, come tanti allora quando la pensione davvero era un traguardo raggiungibile.
Unico sogno vedere il figlio “sistemato” come si diceva un tempo quando era considerato borghese semplicemente chi voleva il meglio per la sua prole. Buona parte della pellicola vede protagonisti i goffi tentativi paterni di accedere a raccomandazioni, vie maestre per il posto fisso. Ma la vita d’improvviso chiede il conto, vanificando l’umano sforzo. Così il giovane viene ucciso per mano terroristica. Un errore del terrore. Il padre allora viene dilaniato dal dolore e dalla disperazione, che finiscono per guidare una feroce vendetta. Stordito dal dolore, imbrigliato nel sangue.
Parimenti inserito in una concezione etica dell’ “occhio per occhio, dente per dente” in Dogman il protagonista è uomo docile come i cani che accudisce, pacato, gentile forse buono, sebbene appaia fin da subito un furbetto tutto fare, abilmente inserito in una micro società fatta di espedienti per sopravvivere.
Si dedica infatti a lavoretti poco puliti che gli permettono di andare avanti. In un sistema corrotto, si lascia corrompere, tuttavia resta mosso da nobili finalità: regalare alla figlioletta Alida momenti di svago fatti di periodiche immersioni nel mare nostrum.
La bravura del protagonista Marcello Fonte, è indiscutibile come attesta l’assegnazione della Palma d’Oro come miglior attore a Cannes. Sul suo volto passano emozioni e dolori che la macchina da presa magistralmente coglie, regalando vigore a quegli occhi grandi, inespressivi solo in apparenza.
Le scene cruente spezzate da una comicità dissacrante rappresentano uno specchio che non de-forma la realtà, ma mostra ogni sua nervatura. La narrazione, sul confine labile della vendetta.
Perchè quel ruolo subalterno talvolta umiliante risveglia una voglia di riscatto quasi animalesca in una realtà fatalmente ingiusta, che fa piovere sempre sul bagnato. E la pioggia scrosciante accompagna il paesaggio, il Villaggio Coppola, in provincia di Caserta, che traveste alla perfezione i panni della periferia romana, una periferia come tante in bilico fra natura e brutture edili, una miscela esplosiva ovunque. Il degrado in potenza e in essere.