Conclusa COP23. Come volevasi dimostrare

Nella notte del 18 novembre 2017 si è concluso il vertice delle Nazioni Unite sul clima, COP23, sotto la presidenza delle Isole Fiji, che ha riunito a Bonn 192 Paesi.

Quello che ci aspettava dalla COP23  era la sospirata applicazione degli Accordi di Parigi (COP21 – anno 2015), dove, ricordiamo, è stata presa la decisione di limitare la crescita della temperatura media globale a un massimo di 2 gradi centigradi entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Più esattamente, avrebbero dovuto decidere le azioni e misure concrete per la sua attuazione. Ma, ancora una volta, tale decisione è stata rimandata al prossimo vertice – COP24, che si terrà a Katowice (Polonia) nell’autunno del 2018.

Nel corso di questi 12 giorni i quasi 200 Paesi riuniti alle Isole Fiji e le relative delegazioni hanno raggiunto accordi minuti: nell’ambito della riforma del sistema agricolo e il rinnovo degli impegni per la riduzione delle emissioni di CO2. Di rilievo la prosecuzione del Fondo di Adattamento oltre i limiti di tempo previsti.

Da segnalare, al riguardo, che nel 2017 le emissioni globali annuali di CO2 sono aumentate del 2% .

Il Dialogo di Talanoa

Il punto scottante, che rimbalza da vertice a vertice, riguarda il Green Climate Fund, ovvero fondo costituito dai Paesi ricchi a supporto dei Paesi in via di sviluppo, affinché nell’adeguamento per il contrasto ai cambiamenti climatici “nessuno rimanga indietro”, come si va ripetendo dall’Accordo di Parigi. Tutti i partecipanti, almeno a parole, concordano che sarebbe tempo di parlare chiaro e in modo costruttivo e che la collaborazione tra gli tutti gli attori in causa si svolgesse nella totale fiducia; un principio che è stato riportato nel documento appositamente denominato Dialogo di Talanoa, termine figiano che significa “parlare con il cuore”, fascicolo propedeutico ai lavori della prossima COP24.

Le conseguenze del ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi

La Conferenza sul clima delle Nazioni Unite di Bonn è stata la prima dalla decisione degli Stati Uniti di uscire dall’Accordo di Parigi – fattibile non prima del 2020 – che non ha provocato il temuto effetto contagio. Al contrario il Nicaragua e la Siria, che si mostravano riluttanti a siglare l’Accordo, hanno espresso l’intenzione di farlo.  Rimane però tutta la differenza finanziaria che comporta l’uscita degli Stati Uniti, che crea una breccia di 2.300 milioni di dollari, che penalizza i Paesi più poveri.  I dubbi su chi coprirà la mancanza di tali risorse sono una delle ragioni che spingono i Paesi in via di sviluppo a chiedere agli Stati ricchi di anticipare il versamento della loro quota del Green Climate Fund.

L’ obiettivo raggiunto

Altro punto spinoso nel vertice di Bonn è stato il Fondo di Adattamento. Tale fondo è stato istituito dal  Protocollo di Kioto, redatto nel 1997 nel corso della COP3 ed entrato in vigore nel 2005 con la ratifica di 192 Paesi.  Il Protocollo di Kioto prevede che il Fondo di Adattamento resti in vigore fino al 2020, sostituito poi dalle risorse decise dagli Accordi di Parigi, in vigore dal 2021. Ma già dalla stessa COP21 (Accordo di Parigi), argomento ripreso poi al vertice successivo, si era discussa la possibilità di allungare i tempi del fondo. Richiesta rimessa sul tavolo a Bonn dai Paesi in via di sviluppo che hanno ottenuto che il Fondo di Adattamento diventi permanente.

Le misure decise a Parigi già superate ma… 

La COP23 ha preso consapevolezza che le misure decise da ogni Paese firmatario del Patto di Parigi non sono sufficienti per raggiungere l’obiettivo di rimanere entro i limiti di 1,5 gradi d’innalzamento della temperatura globale. Ma è bene ricordare che nello stesso Accordo sono previste revisioni periodiche e ogni Stato firmatario dovrà assumere nuovi impegni in relazione alla riduzione dei gas serra.

Conclusioni dal 1992

Complessivamente, dunque si può dire che a Bon sono stati compiuti dei piccoli passi in avanti. Troppo piccoli considerando la situazione ambientale e climatica, ma ci sarà un motivo se il prossimo vertice sarà la COP numero 24.

La prima Conferenza, meglio detto la prima Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici  si svolse nel lontano 1992 a Rio de Janeiro con l’obiettivo di ridurre le emissioni dei gas serra, sulla base dell’ipotesi del surriscaldamento globale. Entrato in vigore nel 1994 il proposito dichiarato recitava”raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico”.  Come volevasi dimostrare.

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